sabato 18 settembre 2010

Uno stronzo nel piatto: il pangasio


Il pangasio. A sentirlo nominare per la prima volta sembrerebbe di assistere ad una delle meglio riuscite “supercazzole” del conte Nello Mascetti, impareggiabile protagonista con il volto e la voce del grande Ugo Tognazzi della trilogia di “Amici Miei”. Pangasio. Eh sì parrebbe proprio uno scherzo. Invece no, è un pesce. O meglio, è quello che vorrebbe farci credere. Una sorta di grosso pesce gatto, per la precisione, che abita i fiumi dell’estremo oriente, in particolare il delta del Mekong, in Vietnam. Prolifico, con una grande capacità di adattamento e una voracità degna degli esemplari della sua famiglia, ha fatto di molti fiumi dell’Asia sudorientale il suo regno. Pescato, anzi, pescatissimo dalle popolazioni locali, che si trovano a portata di lenza una consistente riserva di cibo di facile accesso e a basso costo, ha già conquistato anche gli interessi delle multinazionali occidentali delle cibarie, che lo hanno importato con successo in molti menù aziendali d’Oltreoceano.

Da qualche tempo a questa parte, però, i filetti di pangasio sono entrati prepotentemente anche nel menu offerto da ristoranti, tavole calde, ma soprattutto mense aziendali, comunali e scolastiche di casa nostra. Perché il pangasio si pesca in gran quantità, dunque costa pochissimo, e la sua carne non emana il caratteristico odore di pesce, per molti fastidioso. Anzi, non emana proprio nessun odore. Tantomeno nessun sapore. Ma le sue bizzarrie organolettiche, e lo vedremo meglio con l’aiuto del nostro esperto di fiducia, non finiscono qui.

Ma che cosa sarà mai questo pangasio? Il pangasio, nome scentifico “Pangasius hypophthalmus”, è un pesce d'acqua dolce, appartenente alla famiglia dei “Pangasidi”. Nativo, come si è detto del Mekong, ma anche del Chao Phraya e dei loro affluenti, è molto diffuso in Asia: abita le acque dolci del Vietnam, della Thailandia e della Cambogia, in particolare quelle dei fiumi più grandi, ma non disdegna viaggiare. Stagionalmente, infatti, nel periodo dei monsoni, compie lunghe migrazioni per riprodursi. La riproduzione avviene tra marzo e agosto, durante la stagione dei monsoni, per l’appunto: gli adulti risalgono la corrente durante il periodo dei monsoni e, una volta deposte le uova, affrontano un nuovo spostamento a ritroso, verso valle, nel periodo in cui le consistenti precipitazioni cessano e il livello delle acque torna alla normalità. Il pangasio, così come tanti altri pesci, non si rivela un genitore molto premuroso: ogni nuovo nato deve fare da se’, se vuole sopravvivere, perché tutte le uova deposte vengono lasciate disperdere dalle acque, senza alcuna cura parentale.

Una volta raggiunta l’età adulta, il pangasio sfoggia un corpo tozzo, una testa piatta con larga bocca e piccoli barbigli, che lo fanno somigliare proprio a quel pesce gatto sotto le cui spoglie, talune volte, viene propinato. La pinna dorsale, le pettorali e le pinne ventrali, invece, pur essendo molto allungate rispetto alle forme compatte del corpo, appaiono comunque di dimensioni contenute. La livrea dell’adulto è bruno-grigiastra sul dorso, mentre sul ventre la colorazione tende più fortemente al chiaro. Decisamente più “carini” a vedersi, invece, gli esemplari più giovani: meno tozzi, più slanciati, sfoggiano una colorazione tra il blu e l’argento.
Sono le dimensioni, però, la caratteristica che più di ogni mero aspetto estetico hanno decretato la fortuna commerciale del pangasio sui mercati ittici di mezzo mondo: uno di questo “pescioni” infatti, può facilmente raggiungere i 130 centimetri di lunghezza, per un peso complessivo che tocca mediamente i 15 o anche i 20 chilogrammi. Non mancano però di abboccare alle esche dei pescatori esemplari record, alcuni dei quali capaci di toccare anche i 40 chilogrammi. Roba che, tradotto in filetti, significa tanti pasti aziendali a costo (quasi) zero.
Perché il pangasio “spopola” nei fiumi dell’Asia e sulle tavole dell’Occidente? Perché mangia di tutto, e in gran quantità. Questo pesce, infatti, è onnivoro, e si nutre tanto di vegetali così come di invertebrati, crostacei e altri pesci, che infatti lo temono per le sue doti di formidabile, ma soprattutto voracissimo, predatore. Come sì ha già avuto modo di accennare, il pangasio rappresenta un’importantissima fonte di cibo per le popolazioni che vivono attorno ai bacini idrici da lui abitati. E’ allevato con poco sforzo e moltissimo rendimento in diverse zone dell’Estremo Oriente: in special modo la Thailandia e il Vietnam, paese, quest’ultimo, da cui proviene la maggior quantità di pangasio che si può trovare in commercio dalle nostre parti.

Sebbene la mania di farlo finire in pentola da noi sia scoppiata soltanto di recente, già da molto tempo il pangasio viene importato per un altro fine: quello di far bella mostra di se’ negli acquari. A questo scopo vengono pescati giovanissimi nel Mekong e venduti in Occidente per essere messi in ammollo nella vasca di casa, vicino al finto palombaro che fa le bolle e al relitto del galeone spagnolo. Un pangasio che si trasforma in filetto, però soffre di meno: grossi pesci della sua stazza, abituati per di più a vivere in grandi spazi e a compiere lunghe migrazioni, risentono pesantemente, anche a livello fisico, della vita in cattività. Per questo motivo gli esperti consigliano di allevarli esclusivamente in acquari larghi più di un metro e mezzo, ed in gruppi di almeno 5 esemplari. Inutile però farsi illusioni: rinchiusi nella “boccia” di casa i pangasi non supereranno mai i 30 centimetri di lunghezza.

Oggi, però, il pangasio fa notizia non tanto perché qualcuno lo tiene in casa, ma parché molti, anzi, moltissimi lo mangiano. Anche se i valori nutrizionali delle sue carni ne fanno un vero e proprio “casus” gastronomico. Il pangasio, infatti, contiene un'alta percentuale di acidi grassi saturi, pari a circa 45% del totale, mentre la quantità di Omega-3, gli acidi grassi “buoni”, essenziali al buono stato dell’organismo, sono appena il 5%. Il contenuto di grassi in genere è comunque minimo, soltanto 2 grammi ogni 100. In Italia, paese dove ha cominciato a “spopolare” solo di recente, dopo aver conquistato invece da un po’ più di tempo le tavole statunitensi e quelle di altri paesi più “di bocca buona” nel Vecchio Continente, ha dovuto superare esami di laboratorio rigorosissimi prima di poter ottenere l’autorizzazione alla vendita. Il delta del Mekong, luogo da cui proviene la maggior parte del pangasio pescato, è infatti uno dei bacini di acqua dolce più inquinati al mondo. Una vera e propria bomba ecologica, che raccoglie non solo tutti gli scarichi domestici senza alcun tipo di filtro o depurazione, ma anche tonnellate e tonnellate di residui di lavorazione “liberate” senza troppo problemi dalle industrie che sorgono sulle rive del fiume. Tutto sommato, però, le analisi hanno appurato che la carne di pangasio, per lo meno quella che fa il suo ingresso nei nostri menù, è relativamente sana: la concentrazione di mercurio e di pesticidi organoclorurati, nonché dei famigerati PcB rilevata nei campioni esaminati è bassissima, e rende per tanto questo pesce mangiabile più di due volte a settimana, ovvero la dose normalmente consigliata per un corretto consumo dei prodotti ittici. Anche la consistenza delle carni, unita alla totale assenza di lische, fanno del pangasio un pesce “amico” anche dei palati più schizzinosi.
Non è tanto una questione di salubrità in senso stretto, dunque, né di gusto. Anzi, chi sceglie, purché possa farlo con adeguata consapevolezza, di consumare pangasio, in molti casi lo fa proprio perché, inodore e insapore com’è, non storce il naso così come di fronte ad altri tipi di pesce.

I problemi veri, semmai, si presentano quando il pangasio viene presentato e venduto come “altro”. Come pesce gatto, ad esempio, come sogliola, o come platessa. Le carni bianchissime, pulite e prive di lische, e magari anche una confezione modificata “ad hoc”, potrebbero trarre in inganno sulle prime anche la massaia più smaliziata. Inutile dire che, in tal caso, si tratta di una vera e propria truffa, perseguibile penalmente a termini di legge. Una “contraffazione ittica” però molto lucrosa per il commercio, dato che il costo del pangasio rispetto a quelli dei pesci che dovrebbe “imitare”, è irrisorio. E proprio contro questa forma di truffa si sta scatenando in questo periodo una vera e propria caccia da parte della Guardia di Finanza e del sistema di controllo sanitario nazionale.

Altro problema, il confezionamento: il pangasio arriva in Italia congelato, in confezioni sigillate e recanti tutte le indicazioni necessarie alla corretta identificazione del contenuto. Ma non sempre le cose vanno come dovrebbero, e spesso il prodotto mal confezionato o non conservato alla temperatura consona si presenta in condizioni pesantemente alterate, inadatte alla vendita ed al consumo. Anche in questo caso, occhio a quello che si acquista.

Molto probabilmente, però, il fenomeno-pangasio in Italia è destinato a spegnersi con la stessa rapidità con cui è esploso. Perché i vantaggi del suo consumo, che stanno tutti solo ed esclusivamente nella sua straordinaria economicità, non sono certo quelli in grado di suscitare appeal sul consumatore medio italiano, che magari è disposto anche ad allargare un po’ di più i cordoni della borsa, per quanto vuota questa possa essere, pur di non rinunciare alla buona cucina. E’ un po’ lo stesso principio secondo cui nemmeno con la crisi e il costo galoppante dei cereali nessun italiano ripiegherà mai sull’economicissimo hamburger del fast food rinunciando alla “cara”, ahinoi, un po’ in tutti i sensi, pastasciutta fatta in casa.