lunedì 26 gennaio 2009

Non mi tornano i Conti


Italiani: popolo di santi, navigatori, poeti e commissari tecnici della Nazionale di calcio. Di recente, però, un'altra categoria si è aggiunta al novero. Quella dei nobili. In forza di una bizzarra quanto audace tesi che non vi so spiegare, infatti, c'è chi va dicendo in giro che tutti, bene o male, possiamo vantare origini d'alto lignaggio. Basta iscriversi a qualche servizio on-line specializzato, versare un certo qual obolo, e attendere che le rigorosissime ricerche storico-anagrafico-archivistiche, condotte da un pool di studiosi diplomati all'istituto tecnico "Giosuè Pascoli" e laureati per corrispondenza dopo aver inviato in busta chiusa quarantaquattro bollini dei cereali all'indirizzo indicato sulla confezione, diano il titolato responso. E' un sistema facile, veloce e affidabile. Come quei cartomanti televisivi che promettono divinazioni sconcertanti agitando per aria uno scovolino da stufa.

Certo che se però di cognome si fa Scornavacche, Cazzapuoti, Diotallevi o Carradore, un minimo dubbio sul fatto di poter effettivamente vantare antenati di sangue reale dovrebbe sorgere. E invece no, tanto che la brama di scoprire tra i propri avi un Principe di Quarto Oggiaro, un visconte di Busto Arsizio o un granduca di Nocera Inferiore miete vittime tra il popolo bove quanto non potrebbe farne nemmeno una peste bubbonica particolarmente virulenta in un poverissimo villaggio del Rajastan.

Così persino sul mitico Feisbuc cominciano a comparire gruppi e fanclub dedicati all'araldica d'accatto: scrivi il tuo nome e cognome, dicci di dov'era tua zia, suggeriscici la località di vacanza preferita del tuo vecchio postino, e in quattro e quattr'otto eccoti il tuo blasone inquartato con vanga d'oro in campo cremisi, giglio di Francia, cuore di panna, trionfo di sedani e cotolette in carpione. Da servire freddo e in terrina antiaderente.

Una volta, quando ancora la tecnologia spinta e la multimedialità non avevano invaso del tutto le nostre misere ed inconcludenti esistenze, c'erano dei tizi che giravano di fiera in fiera con un banchetto imbaldacchinato ed un meraviglioso computer dal quale, digitando il cognome in linguaggio turbopascal, si poteva aver sciorinati in men che non si dica l'albero genealogico, il titolo nobiliare, lo stemma, e persino le chiavi del garage del castello e una fedelissima riproduzione in scala della targa della carrozza posseduta dall'aristocratico trisavolo. Ovviamente, alla fine della fiera, tutti risultavano essere in qualche modo conti, baroni, principi, marchesi aut similia.

Persino io, che per celia avevo chiesto al serioso operatore di effettuare una ricerca pur sapendo di poter vantare esclusivamente ruralissimi natali "zappantibus et sarchiantibus", ero comunque risultato essere feudatario di qualche cosa. Penso del parcheggio pluripiano di un centro commerciale, se non vado errato, con diritto di conio sui gettoni del carrello. Ma sono passati diversi anni, la memoria mi tradisce e non ci metterei la mano sul fuoco.

E, sempre secondo il computer, c'avevo pure un bello stemma tutto sbuffi di porpora e fronde di quercia con dentro i puffi, la fototessera di Maradona alle elementari, la croce di Savoia, il tanga di Anna Falchi e un cavaliere medievale in sella ad un paracarro che brandiva a mo' di mazza ferrata uno scopettone del cesso. Peccato non averne approfittato: oggi un crest del genere farebbe un figurone sul mio mobile porta-tv dell'Ikea, a fianco alla gondola e alla boccia con dentro la Basilica di Superga che se la giri nevica.

giovedì 22 gennaio 2009

Bella, prof! Pimpami la storia...


Apprendo con smisurato gaudio e inarrestabile letizia che la Repubblica Popolare Cinese ha deciso di dichiarare il 28 marzo del 2009 festa nazionale. «Embè - si chiederanno ora i miei 25 lettori - che accidenti sarà mai successo il 28 marzo?». E' successo che esattamente cinquant'anni fa, suppergiù proprio attorno a quella data, l'allora Dalai Lama dovette abbandonare il Tibet per sfuggire alle persecuzioni cui erano sottoposti lui e i suoi seguaci da parte del simpaticissimo e giovialissimo governo di Pechino. Una data da festeggiare, insomma. Specie per il PCC.

Ma la cosa più straordinaria sapete qual'è? E' la motivazione addotta dal governo cinese per eleggere la data a festa nazionale. Ovvero la «liberazione» del Tibet dal «giogo di un'oppressione di stampo feudale». Sì sì sì, proprio così. Testuali parole, semplicemente tradotte dagli enfatici ideogrammi in mandarino. Insomma, secondo i Mao's Friends la placida ed inoffensiva teocrazia dei bonzi sarebbe stata il diabolico oppressore che non veste Prada ma tuniche color arancio. Roba che neanche il fratello cattivo di Luigi XVII. Mentre invece i carri armati con la stella rossa sarebbero stati i portatori della fiaccola della libertà. Wow. Non fa una grinza, no? E se basta così poco a frullare la storia e rivoltarla come un calzino, chissà che belle news ci porterà il futuro.

Ecco, suppergiù, cosa credo ci aspetterà nel programma dei festeggiamenti dei prossimi anni:

- l'associazione internazionale neonazista "Gli amici di Adolf" indirà per il 14 giugno del 2010, a sessant'anni esatti dall'apertura dei cancelli di Auschwitz, una giornata di festeggiamenti per celebrare il primo "parco giochi a tema" della storia.

- il 24 agosto dello stesso anno un gigantesco motoraduno di barbuti appassionati delle dueruote e armati di catene, provenendo dall'Est Europa convergerà sulla capitale italiana per celebrare la ricorrenza del 1600esimo anniversario della gioiosa scampagnata organizzata da Alarico, al grido di: "Tutti a Roma, pranzo al sacco"

- Il 13 maggio di quest'anno, invece, si festeggerà la "Giornata Mondiale contro la noia derivata dal troppo studio", celebrata per la prima volta da Pol Pot nel 1976. Ognuno potrà scendere in strada con una roncola, un badile o un piccone e calarlo con violenza sulla testa del primo intellettuale noioso di passaggio. «Riconoscere un noioso intellettuale - ci spiega Pol Pot - è facilissimo: basta che porti un paio d'occhiali»


E via di questo passo. Pensate un po' che bello: quante feste, quante celebrazioni. Forse addirittura l'Ordine nazionale degli architetti si mobiliterà per un seminario dedicato a Nerone, il più grande e rivoluzionario urbanista dell'antichità.

Guardare al passato non è mai stato così divertente.

mercoledì 21 gennaio 2009

La rivincita dello zavorrino


Il nuovo “girl power” smanetta sull’Harley. Sella più bassa, leva del cambio più morbida, pedaliere a misura di donna e, ovviamente, linee di abbigliamento che oltre a soddisfare le esigenze di una vera rider strizzano sempre di più l’occhio al lato glamour dell’andare in moto: sono queste le ultime “avances” lanciate dalla celeberrima casa motociclistica di Milwaukee per conquistarsi una fetta sempre più consistente di preferenze al femminile. Le harleyste, per ora, sono appena il 6% della clientela. Una percentuale che, suppergiù, si attesta allo stesso livello di quello generale delle donne che vanno in moto. Ma la casa americana è sempre più convinta che questi numeri per ora ancora piuttosto esigui siano destinati a subire un nettissimo incremento nel prossimo futuro. Non fatevi strane idee, però: scordatevi ad esempio che a segnare il cambiamento siano solo le virago con lo sguardo truce, i tatuaggi, e il bicipite pronunciato quasi quanto quello dei loro boyfriends. Oggi, infatti, in sella ad un’Harley Davidson saltano su tutte. E dalla parte da cui si controlla il manubrio. Così, anche una delle intramontabili icone del machismo a stelle e strisce ora è pronta a lasciare a piedi gli ormai obsoleti T-Bones per caricare a bordo sempre più Pink Girls. Lo vuole il mercato, il dio a cui nessuno può comandare nulla. Solo obbedire.

Che la moto non fosse più un feudo tutto al maschile, lo si era capito ormai da diversi anni. Ma che il cavallo di ferro che da cinquant’anni scarrozza cattivissimi emuli di Marlon Brando su e giù per le Route 66 di mezzo mondo ora faccia la corte a quelle che fino a ieri potevano al massimo aspirare a fare da passeggere, è un chiaro indice di come le cose stiano cambiando. Avanti di questo passo, molto presto noi maschietti, “sesso forte” ormai solo nelle definizioni comuni, saremo relegati sul fondo della sella, al posto dello “zavorrino”. Perché, come dice una battuta di spirito, oggi a portare per davvero i calzoni ci sono solo più i camerieri delle pizzerie.

Al di là delle facili battute un po’ misogine e sicuramente ammuffite, c’è però la consapevolezza che le cose stanno davvero cambiando. L’interesse della Harley Davidson all’espansione esponenziale del mercato femminile è una cartina al tornasole di una realtà tutt’altro che da sottovalutare. Perché non si tratta più solo di un mutamento culturale che, vivaddìo, si sta finalmente consolidando, smantellando uno dopo l’altro tutti gli stereotipi che fino ad oggi ostacolavano la parità tra i sessi. Ora, infatti, assieme ai sociologi e agli studiosi di costume, scendono in campo anche gli economisti.

Già, perché l’economia è sempre più donna, e non solo per il genere femminile del sostantivo. Gli analisti esperti del settore stimano infatti che ormai l’80% degli acquisti sia determinato da una scelta al femminile: mamme, mogli, fidanzate, compagne, ma anche amiche, condizionano fortemente la scelta delle compere da fare in famiglia e fuori. Dal carrello della spesa al supermercato alla scelta del guardaroba, passando per le vacanze, le uscite serali, gli acquisti hi-tech e così via. Persino nella scelta dell’automobile, uno di quelli che fino a ieri era considerato il classico acquisto appannaggio dell’uomo, oggi l’autorevolissima opinione della donna pesa per oltre il 60% delle scelte finali. I primi a rendersene conto pare siano stati proprio i maggiori produttori al mondo di quattro ruote: i giapponesi. Ieri la Subaru, che per lanciare sul me3rcato italiano ed europeo il restyling delle sue “cattivissime” 4x4 dalla vocazione sportiva si affidava alla voce di testimonial al femminile, che nello spot pubblicitario scherzavano sull’incapacità dei loro uomini di scegliere automobili decenti. Oggi, invece, la Nissan, che ha scelto di assumere sempre più donne in qualità di responsabili alle vendite nelle sue 2.500 concessionarie del Sol Levante.

La spesa, di qualunque forma ed entità essa sia, si fa dunque sempre più rosa. Un dettaglio che poteva un tempo interessare solo barzellette e brocardi, ma che negli odierni tempi di crisi fa drizzare le antenne agli affamatissimi operatori commerciali di tutti i settori. Tanto che, dai settori del marketing più propriamente al femminile, come il benessere, la moda e la cosmesi, fino a quelli che, almeno sulla carta, femminili lo sarebbero molto meno, come appunto i motori, l’autorevolezza del parere in rosa è quella cui viene ormai dato universalmente sempre più peso. Così sempre più aziende si affidano a consulenti femminili, puntano a fidelizzare una clientela prevalentemente femminile e prima di lanciare sul mercato nuovi prodotti si sincerano che questi attraggano gli interessi di un pubblico, indovinate un po’?, femminile.

Chiunque in questi tempi difficili si stia arrovellando sul modo di risanare i propri magri bilanci e superare la crisi, è avvisato: per avere un parere attendibile, bisogna chiedere a lei.