Italiani: popolo di santi, navigatori, poeti e commissari tecnici della Nazionale di calcio. Di recente, però, un'altra categoria si è aggiunta al novero. Quella dei nobili. In forza di una bizzarra quanto audace tesi che non vi so spiegare, infatti, c'è chi va dicendo in giro che tutti, bene o male, possiamo vantare origini d'alto lignaggio. Basta iscriversi a qualche servizio on-line specializzato, versare un certo qual obolo, e attendere che le rigorosissime ricerche storico-anagrafico-archivistiche, condotte da un pool di studiosi diplomati all'istituto tecnico "Giosuè Pascoli" e laureati per corrispondenza dopo aver inviato in busta chiusa quarantaquattro bollini dei cereali all'indirizzo indicato sulla confezione, diano il titolato responso. E' un sistema facile, veloce e affidabile. Come quei cartomanti televisivi che promettono divinazioni sconcertanti agitando per aria uno scovolino da stufa.
Certo che se però di cognome si fa Scornavacche, Cazzapuoti, Diotallevi o Carradore, un minimo dubbio sul fatto di poter effettivamente vantare antenati di sangue reale dovrebbe sorgere. E invece no, tanto che la brama di scoprire tra i propri avi un Principe di Quarto Oggiaro, un visconte di Busto Arsizio o un granduca di Nocera Inferiore miete vittime tra il popolo bove quanto non potrebbe farne nemmeno una peste bubbonica particolarmente virulenta in un poverissimo villaggio del Rajastan.
Così persino sul mitico Feisbuc cominciano a comparire gruppi e fanclub dedicati all'araldica d'accatto: scrivi il tuo nome e cognome, dicci di dov'era tua zia, suggeriscici la località di vacanza preferita del tuo vecchio postino, e in quattro e quattr'otto eccoti il tuo blasone inquartato con vanga d'oro in campo cremisi, giglio di Francia, cuore di panna, trionfo di sedani e cotolette in carpione. Da servire freddo e in terrina antiaderente.
Una volta, quando ancora la tecnologia spinta e la multimedialità non avevano invaso del tutto le nostre misere ed inconcludenti esistenze, c'erano dei tizi che giravano di fiera in fiera con un banchetto imbaldacchinato ed un meraviglioso computer dal quale, digitando il cognome in linguaggio turbopascal, si poteva aver sciorinati in men che non si dica l'albero genealogico, il titolo nobiliare, lo stemma, e persino le chiavi del garage del castello e una fedelissima riproduzione in scala della targa della carrozza posseduta dall'aristocratico trisavolo. Ovviamente, alla fine della fiera, tutti risultavano essere in qualche modo conti, baroni, principi, marchesi aut similia.
Persino io, che per celia avevo chiesto al serioso operatore di effettuare una ricerca pur sapendo di poter vantare esclusivamente ruralissimi natali "zappantibus et sarchiantibus", ero comunque risultato essere feudatario di qualche cosa. Penso del parcheggio pluripiano di un centro commerciale, se non vado errato, con diritto di conio sui gettoni del carrello. Ma sono passati diversi anni, la memoria mi tradisce e non ci metterei la mano sul fuoco.
E, sempre secondo il computer, c'avevo pure un bello stemma tutto sbuffi di porpora e fronde di quercia con dentro i puffi, la fototessera di Maradona alle elementari, la croce di Savoia, il tanga di Anna Falchi e un cavaliere medievale in sella ad un paracarro che brandiva a mo' di mazza ferrata uno scopettone del cesso. Peccato non averne approfittato: oggi un crest del genere farebbe un figurone sul mio mobile porta-tv dell'Ikea, a fianco alla gondola e alla boccia con dentro la Basilica di Superga che se la giri nevica.