Quante volte ci siamo trovati a dover lodare, decantare, adulare, manifestare ammirazione o gratitudine per cose nei confronti delle quali, in realtà, non nutrivamo il benché minimo interesse o, peggio, per cose che molto più semplicemente ci suscitavano ribrezzo?
Quante volte, ogni giorno, dobbiamo ripetere la stessa deprimente pantomima?
Lo abbiamo fatto, o meglio, continuiamo a farlo costantemente, indefessi: un po' per condiscendenza, un po' per utilitarismo, un po' per stringente necessità, o per quieto vivere, o ancora perché temiamo di ferire i sentimenti di qualcuno che ci è molto caro. Ma, qualunque sia il ridondante vestimento con cui vogliamo addobbare il nostro miserrimo modo di fare, soltanto per farcelo apparire un po' meno meschino di quanto non sia in realtà, resta il fatto che fingiamo. Fingiamo, spudoratamente e impunemente. E, il più delle volte, il risultato è che la farsa di cui ci facciamo grotteschi capocomici non porta nemmeno al risultato sperato.
Ma fingiamo lo stesso, perché dire la verità, palesare il nostro reale giudizio e la nostra vera opinione, quasi mai è "utile", quasi mai è "conveniente", quasi mai è "opportuno". Di sicuro, non è mai l'escamotage più comodo per cavarci d'impiccio. Così fingiamo, senza porci troppe domande. Fingiamo così bene, e così spesso, che alla fine arriviamo a convincere addirittura noi stessi della genuina e virginale bontà della nostra finzione.
Come quando ci diciamo che il cinema italiano è vittima di un mercato nelle mani delle grandi case di distribuzione, quando in realtà da noi è sempre funzionato in maniera diversa: cioè che se un film è bello, la gente lo va a vedere, a prescindere dalla pubblicità, e se quindi nessuno va a vedere Muccino e la Comencini è semplicemente perché fanno cacare riproduzioni in scala 1:1 del Taj Mahal (Ecco, qui, ad onor di Verità, va fatta un'eccezione per quanto riguarda i film di Boldi e De Sica, che nonostante il successo stratosferico fanno petare come vaporiere impazzite sul Mississippi: essi, ed il loro pubblico in particolare, sono il simbolo vivente del decadimento inarrestabile del genere umano, e la prova lampante che, come sostengono Giorgio Celli e gli ambientalisti finlandesi, è ormai giunto il momento che l'homo sapiens si estingua, per il bene del Pianeta).
Come quando sotto l'albero troviamo il dodicesimo pigiama di flanella a quadrettoni e, ciononostante, abbiamo ancora il coraggio di sorridere a 32 denti per poi esternare con plastico gaudio: "Accipicchia, che sorpresa! Era proprio quello che desideravo...".
O come quando alla Gam fingiamo di apprezzare il messaggio di un imbrattatele ugro-finnico che molto di più avrebbe dato al mondo se si fosse dedicato al suicidio, anziché alla pittura. Tagliandosi per esempio le vene, anziché una tela.
Come quando: "Signora, delle tagliatelle così non le ho mai mangiate", scordandoci poi di sottolineare anche l'augurio personalissimo di non essere mai più costretto a mangiarle, tanto sarebbe più bello, ma soprattutto più umano, finire i propri giorni in un campo di prigionia segreto per dissidenti del Partito Comunista Vietnamita.
O ancora come quando: "Direttore, che magnifica cravatta!", anche se il motivo dell'assurdo orpello pendente in finto acrilico con il quale il nostro capo ha maldestramente tentato di strangolarsi nel colletto della camicia a righe ricorda un drammatico incidente in tangenziale tra uno scuolabus, una betoniera, due bisarca e un'autocisterna di gasolio.
Eccole qui, le nostre piccole grandi corazzate Potemkin del quotidiano. Quelle che osanniamo con parole di lode che nemmeno il Morandini, e che invece vorremmo affondare a suon di bordate di piombo che nemmeno la Perla di Labuan.
Allora diciamolo, una buona volta, che la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca. Diciamolo spesso. Ne guadagneremo in salute, in serenità, in pace interiore, e potremmo accostarci alla nostra prossima reinacranzione con il kharma fresco di bucato, senza il timore di rinascere scarrafone, cimice, esattore del fisco o Gigi D'Alessio.
Ma soprattutto potremo goderci in piedi, in santa pace i nostri meritatissimi 92 minuti di applausi.
Ps Grazie di cuore ad Ale, per avermi involontariamente suggerito il prezioso spunto dagli alambicchi del suo Laboratorio.